Fashion law: La contraffazione e i giovani.

22 Dic Fashion law: La contraffazione e i giovani.

Se la repressione rappresenta senza dubbio un momento importante della lotta all’industria del falso, d’altro canto questa deve essere accompagnata da campagne d’informazione e sensibilizzazione che mettano in guardia la collettività e in particolare le giovani generazioni sui rischi legati all’acquisto di falsi.
La rieducazione è, infatti, un momento fondamentale ed insostituibile per combattere un fenomeno la cui portata è sociale oltre che economica.
Di questo profilo si è occupato uno studio del CENSIS che, in collaborazione con l’UIBM, ha concentrato l’attenzione sul rapporto tra giovani e contraffazione, intervistando a Roma, presso noti mercati, le nuove generazioni.
Il report ha evidenziato l’abitualità della pratica presso il 74,6% dei giovani, che acquistano merce contraffatta spesso (15,2%) o qualche volta (59,4%); inoltre, è condivisa tra i giovani la percezione del fenomeno come socialmente accettato, senza conseguenze, compiuto da tutti e leggero per le coscienze e, soprattutto, per il portafoglio.

Le motivazioni che spingono i giovani intervistati ad acquistare merce contraffatta* (Val. %)

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Se il risparmio è la principale ragione (69,6 %) che spinge ad acquistare contraffatto, i luoghi deputati rimangono quelli “classici”: bancarelle (81,2%), mercati (48,0%) e la spiaggia (32,7%), mentre Internet è ancora dietro (16,6%), ma in ascesa.
Ambito interessante, poi, è quello relativo alle campagne di sensibilizzazione anti-contraffazione: la maggior parte degli giovani ritiene che si debba insistere sui temi del rapporto tra criminalità organizzata e contraffazione (32,8%) e, soprattutto, sullo sfruttamento del lavoro che implica questa attività (35,2%).

Argomenti ritenuti efficaci per una campagna informativa sulla contraffazione rivolta ai giovani*(Val. %)

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Queste le argomentazioni che smuovono le coscienze dei nostri giovani, in particolare la possibilità che le merci contraffatte siano state prodotte in assenza di diritti del lavoratore e con lo sfruttamento di manodopera legata all’immigrazione clandestina.

Contraffazione e cultura della legalità.

Il dato allarmante che emerge prepotentemente dall’analisi del fenomeno riguarda la generale considerazione che il comune cittadino ha della contraffazione: una attività, che seppur illecita, rimane nell’aura “nobile” della lotta ai prezzi elevati delle grandi griffe e di goliardica sfida alla grande industria.
È necessario perciò compiere una riflessione più profonda, libera da ottuse e provinciali logiche antisistema, che ponga l’attenzione della collettività sui danni che il fenomeno arreca a tutti gli operatori economici, dal produttore al consumatore, fino alla società nel suo complesso.
A ben guardare, gli effetti negativi dell’industria del falso sono molteplici e incidono su differenti interessi, pubblici e privati.
La “contraffazione” provoca, infatti:

  • un danno economico per le imprese, derivante alle mancate vendite, alla riduzione del fatturato, alla perdita di immagine e di credibilità, alle rilevanti spese sostenute per la tutela dei diritti di privativa industriale a scapito degli investimenti e di iniziative produttive;
  • un danno e/o un pericolo per il consumatore finale, connesso alla sicurezza intrinseca dei prodotti, specie in alcuni settori come quello farmaceutico, automobilistico ed alimentare. La contraffazione, infatti, determina un inganno ai danni dei consumatori in quanto viene svilita la funzione tipica del marchio che è quella di garantire l’origine commerciale dei prodotti;
  • un danno sociale, derivante dallo sfruttamento di soggetti deboli (disoccupati o, prevalentemente, cittadini extracomunitari) assoldati attraverso un vero e proprio racket del lavoro nero, con evasioni contributive e senza coperture assicurative ed alla conseguente perdita di posti di lavoro;
  •  un danno all’Erario pubblico, attraverso l’evasione dell’I.V.A. e delle imposte sui redditi. La commercializzazione di prodotti contraffatti, infatti, avviene attraverso un circuito parallelo a quello convenzionale, in totale evasione delle imposte dirette e indirette;
  • un danno al mercato consistente nell’alterazione del suo funzionamento attraverso una concorrenza sleale basata sui minori costi di produzione.
  • un persistente rischio per l’ordine pubblico, determinato dal re – investimento degli ingenti profitti ricavati da questa attività illecita in altrettanto proficue attività delittuose (edilizia, droga, armi) da parte di organizzazioni malavitose. Infatti, solo una piccola parte dei guadagni rimane nelle tasche dell’ultimo anello della filiera, rappresentata prevalentemente da cittadini extracomunitari. La maggior parte degli introiti, invece, finisce nelle mani dei sodalizi criminali organizzatori del grande traffico di beni contraffatti.

Bibliografia e Sitografia:

http://www.indicam.it/
http://www.uibm.gov.it
http://www.uibm.gov.it/iperico
https://siac.gdf.it/

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