02 Lug Non solo Expo: numeri e potenzialità del Food Made in Italy

Non sono trascorsi neanche due mesi dall’inizio di Expo 2015, che c’è già chi inizia a tirare le somme.   Il comunicato dello scorso 31 Maggio di Expo S.p.A. ha aperto ufficialmente le danze, fornendo i dati ufficiali di afflusso del primo mese (2,7 milioni di visitatori) e un’incoraggiante indicazione sui biglietti acquistati dai rivenditori autorizzati per il prosieguo della manifestazione (circa 15 milioni).

Comprensibile, dunque, la soddisfazione del commissario unico Giuseppe Sala, che ha sottolineato come la kermesse di Milano, visti questi primi numeri ufficiali, si stagli tra le migliori edizioni della manifestazione negli ultimi anni. L’appeal di Expo, dunque, non ha risentito delle critiche iniziali ma ha soddisfatto le aspettative.

Lo stesso tema della manifestazione, “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, richiede un’analisi dei dati relativi al cibo consumato lungo il decumano e dei gusti e delle tradizioni che più appassionano i visitatori: in breve, cosa mangiano i visitatori di Expo? O meglio, chi guadagna meglio col food ad Expo?

Gli incassi lordi della ristorazione, in questo primo mese e mezzo ammontano a 23 milioni di euro, da cui dovranno essere sottratte le commissioni che Expo tratterrà.

Nel meltin pot gastronomico la fetta maggiore della torta se la aggiudicano, finora, i ristoranti regionali di Eataly, con 3,8 milioni di introiti. Molto bene anche la Spagna con le sue tapas e i 970 mila euro di guadagni, e il Belgio, che con le sue apprezzatissime patatine fritte ha ricavato poco meno di mezzo milione di euro.

Gusti variegati e prezzi variabili, che vedono comunque in testa l’Italia.

Il successo del food made in Italy è, quindi, finora, indiscutibile e  oltre al trionfo del colosso di Farinetti, anche la cooperativa emiliana Cir con i suoi self service sparsi per Expo e la catena Let’s Toast sta ottenendo ottimi risultati (1,7 milioni di incasso).

Conosciuto, apprezzato e imitato in tutto il mondo il buon cibo italiano ha registrato una crescita più che rilevante nell’ultimo decennio, in termini di esportazione e di fatturato: stando ai dati di Federalimentare- che in occasione di Expo ha presentato il suo Atlante geografico del food Made in Italy– tra il 2004 e il 2014 l’export alimentare è aumentato dell’83,8%,al doppio della velocità del totale italiano (+46,1%). L’incidenza dell’export  sul fatturato dell’industria alimentare italiana è passata dal 14% al 20,5%, per un valore di 24 miliardi di euro. Se, infatti, nel 2004  solo 2 industrie su 10 esportavano all’estero, oggi il dato è di un’ industria su due delle 54 mila italiane.

Ma nonostante queste cifre incoraggianti, l’Italia tuttavia rimane ancora dietro ad altre realtà europee come Germania, Francia e Spagna, dove il peso dell’export alimentare è rispettivamente del 33%, 26% e 22% sul totale.

Nonostante questo distacco, l’Italia colma questo gap ottenendo un maggiore valore aggiunto sui prodotti esportati:  in esso son ricomprese le remunerazioni, ossia salari e stipendi,  gli utili, interessi bancari e finanziari, e il gettito fiscale (imposte dirette). Questo è possibile perché l’Italia colloca generalmente i suoi prodotti in una fascia di prezzo maggiore rispetto agli altri paesi: ecco un ulteriore indice della domanda e dell’aspettativa che il prodotto italiano genera nei consumatori esteri, consci di spendere una cifra maggiore pur di assicurarsi la massima qualità nostrana.

Se i mercati che registrano il maggior numero di importazioni dall’Italia sono Germania (16,1%) e Oltre il 60% dell’export italiano coinvolge i Paesi dell’UE,  ma sono numerosi i Paesi emergenti che sempre più richiedono i prodotti alimentari italiani (Taiwan, Corea del Sud, Israele, Singapore), in particolare con una recente crescita della domanda cinese, che nell’ultimo anno ha raggiunto quasi il 10%.

Il quadro appena tracciato sembra incoraggiante e i dati positivi: in che modo l’Italia può migliorare il proprio export? In due parole, non accontentandosi. Questa è l’opinione del presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, che ha  sottolineato come la vera svolta sia “fare sistema tra i vari operatori e le istituzioni”. In pratica imprese e Governo devono puntare a costruire piattaforme per combattere in primis la contraffazione, vero flagello dell’export italiano, e quelle barriere non tariffarie totalmente pretestuose. Scordamaglia sottolinea: “ L’industria alimentare italiana è la più grande creatrice al mondo di valore aggiunto nella trasformazione dei prodotti alimentari. Le enormi potenzialità per l’export stanno tutte in questo semplice principio, sta a noi saperle cogliere.”

Le imprese dovranno quindi sfruttare la scelta dell’intero sistema Paese di puntare all’aumento dell’export agroalimentare, come vero e proprio obiettivo strategico da perseguire a livello politico-istituzionale.

 

 

 

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